Le vie di Borno, da qualunque parte si entri, conducono al centro e dal centro si dipartono tutte come raggi: Piazza Giovanni Paolo II (ex Piazza Umberto I) è il cuore dell’abitacolo, sormontata dalla settecentesca chiesa parrocchiale a cui si accede percorrendo una scalinata che conduce all’ampio sagrato.
Ai piedi della gradinata, la piazza si allarga attorno alla fontana, contornata da palazzi con portici e portali artistici, per poi dipartire verso Via Vittorio Veneto, passeggiata preferita dai turisti amanti della graziosa località montana.
L'altopiano di Borno sorge in una conca montana di formazione glaciale, limitato a Nord dal gruppo del Pizzo Camino e a Sud dal Monte Altissimo, mentre si apre ad Ovest sulla Val di Scalve e ad Est sul paese di Ossimo e sulla Media Valle Camonica.
L’arco temporale bornese segnala un eccezionale sviluppo demografico ed economico durante il primo periodo della dominazione veneta (XV secolo), tanto da divenire il primo comune della Valle Camonica per numero di abitanti, con “1500 anime e 330 fuochi”.
Nello stesso periodo si ricorda nei documenti rurali della comunità la presenza di una fontana pubblica nella piazza principale, alimentata dall’unico acquedotto.
Attorno ad essa si addensavano le antiche contrade che innervano il paese, luoghi deputati a sede di attività e traffici, botteghe, laboratori di mercanti, rivenditori e artigiani, notai, osterie, spezierie e della casa comunale. La piazza di Borno riveste da sempre il ruolo comunitario per eccellenza: da ritrovo per i terrazzanti e luogo di raccolta delle milizie, a palco privilegiato dei protagonisti della socialità, dai più piccoli ai più anziani, passando per i giovani e i visitatori del posto.
L’attuale fontana viene datata intorno al XVII secolo ed è composta da una grande vasca ottagonale con lastre rettangolari in tenue pietra simona, fregiate da incisioni rettangolari con angoli smussati e pilastrini in granito. Nel centro della fontana si erge come un tronco adorno di foglie d’acanto la colonna in pietra arenaria di Sarnico, che sostiene due vasche in arenaria rossa: la maggiore, quadrilobata con scanalature, presenta quattro mascheroni in rilievo, muniti di altrettanti doccioni in bronzo; la minore, di forma circolare pure scanalata e dotata di mascheroni, funge anche da serbatoio, chiuso da una copertura ornata con foglie d’acanto e sormontata all’apice da una pigna aggiunta nel dopoguerra.
Lo sapevi che?
Secondo la tradizione, l’acqua di Borno venne levata da tutte le fontane durante l’incendio del paese da parte degli abitanti della Val di Scalve, episodio che si inserisce nella storica disputa per la contesa del Monte Negrino. Il preambolo della vicenda sarebbe stata l’uccisione di un gruppo di scalvini da parte dei vicini bornesi, che dopo averli assassinati ne avrebbero estratto le interiora, girate intorno ad un arcolaio e rispedite al paese natio sul dorso di un asino. Per vendicare i compagni, gli scalvini catturarono più di 200 gatti della zona e dopo aver legato alle loro code dei fiocchi di bambagia imbevuti di spirito vi appiccarono il fuoco. I poveri animali, lancinati dal dolore, si riversarono in tutte le direzioni dell’abitato, dando alle fiamme circa 150 case e causando la morte di 10 persone. Tali cifre sono riportate in basso a destra su un dipinto ad olio conservato nella chiesetta di Sant’Antonio, situata nei pressi della chiesa parrocchiale, che raffigura proprio il cruento episodio.